Test Eseguiti

 

 

 

 

 

 

 

 

MALATTIE GENETICHE E SINDROMI

Le Amiloidosi Familiari sono patologie rare, che interessano l’intero organismo. In Italia si riscontrano 800 nuovi casi di amiloidosi ogni anno. Le amiloidosi sistemiche ereditarie sono malattie a trasmissione autosomica dominante ed ad esordio in età adulta, causate da alterazioni di diverse molecole: transtiretina (TTR), apolipoproteina A-I (APO A-I), apolipoproteina A-II (APO A-II), lisozima, catena a del fibrinogeno e gelsolina. La forma più frequente è l’ amiloidosi causata da mutazioni che interesano il gene della transtiretina. L’amiloidosi è una malattia caratterizzata dall’accumulo di materiale proteico insolubile, detto amiloide, in sede extracellulare.

La sintomatologia è varia, a seconda degli organi interessati, e frequentemente coinvolge il cuore ed i reni.

Il test genetico

Il test genetico prevede il sequenziamento degli esoni codificanti del gene TTR e del gene APO A1 per identificare le mutazioni responsabili della patologia. Il test si esegue mediante la tecnica della NGS (Next Generation Sequencing) e successivo sequenziamento con metodica Sanger per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante NGS.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico raccolto in due provette Vacutainer EDTA con 3ml di sangue intero.

Indicazioni all’ analisi:

è eseguito sui soggetti affetti con diagnosi clinica effettuata tramite esami strumentali indicativi per tale patologia e per i soggetti che presentano una familiarità.

Nelle Sindromi Mielodisplastiche (SMD) le alterazioni citogenetiche e molecolari hanno un significato prognostico noto. Circa nel 50% dei pazienti con SMD che non mostrano aberrazioni del cariotipo, l’analisi di anomalie molecolari definite, aiuta alla conoscenza della prognosi di questi pazienti. Le sindromi mielodispastiche sono caratterizzate da una difettosa produzione, da parte del midollo osseo di globuli rossi, globuli bianche e piastrine, con conseguente carenza di queste componenti nel sangue periferico.

La frequenza delle mutazioni dei geni TP53 è del 5-15% nelle SMD de novo e questa incidenza aumenta nelle forme secondarie. Le mutazioni di ASXL1 sono più frequenti con un’ incidenza del 21%. La presenza di mutazioni di TP53 e/o ASXL1 ha una prognosi negativa nei pazienti con SMD.

Il test genetico:

consiste nella ricerca di mutazioni negli esoni 5-9 del gene TP53 e dell’ esone 12 del gene ASXL1 mediante sequenziamento con metodica Sanger.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico raccolto in due provette Vacutainer EDTA con 3ml di sangue intero.

Indicazioni all’analisi:

l’analisi è eseguita in soggetti con diagnosi clinica di SMD.

L’analisi molecolare di zigosità viene eseguita a completamento di indagini molecolari in epoca prenatale per specifiche patologie e/o a completamento dell’analisi citogenetica prenatale, nel caso di gravidanze gemellari. Il test serve per valutare se i gemelli sono omozigoti o eterozigoti.

Il test genetico:

Il test viene eseguito mediante amplificazione, con un kit commerciale, dei micro satelliti, loci altamente polimorfici, a cui segue l’analisi, basata sul confronto dei genotipi individuati ai suddetti loci, mediante software specifici.

Il test si esegue:

su villi coriali, liquido amniotico o linfociti da sangue fetale.

Indicazione all’analisi:

l’analisi di zigosità si effettua in caso di gravidanza gemellare per verificare se i gemelli hanno genotipo uguale o diverso.

La Cardiomiopatia Ipertrofica è la più frequente malattia genetica del muscolo cardiaco, con una prevalenza di 1:500 nella popolazione generale, pari a oltre 100.000 pazienti stimati in Italia. La patologia è caratterizzata dall’ ispessimento delle pareti del ventricolo sinistro del cuore (ipertrofia); molto spesso l’ ispessimento provoca un ostacolo al deflusso di sangue nel cuore generando la comparsa di sintomi da sforzo.

La Cardiomiopatia Ipertrofica è una malattia autosomica dominante del sarcomero, causata da mutazioni in oltre 13 geni codificanti proteine dell’apparato contrattile del cardiomiocita.

Il test genetico:

è possibile eseguire un test genetico per individuare il tipo di mutazione genetica associata alla malattia, cioè per sapere se la malattia è riconducibile ad un fattore ereditario. L’esame consiste nell’analisi dei geni attualmente riportati dalla letterartura scientifica come principale causa della Cardiomiopatia ipertrofica mediante tecnica NGS (Next Generation Sequencing). I geni sequenziati sono:

• Gene TNNT2 (Troponina T)

• Gene MYBPC3 (proteina C legante la miosina)

• Gene MYH7 (catena pesante beta- miosina)

• Gene MYL2 (catena regolatrice leggera 2 della miosina)

• Gene MYL3 (catena essenziale leggera 1 della miosina)

• Gene TPM1 (alfa-tropomiosina)

• Gene ACTC (alfa-actina)

• Gene TNNI3 (Troponina I)

• Gene LAMP2 (proteina di membrana tipo 2 associata al lisosoma)

• Gene PRKAG2 (sub unità catalitica 2 della proteina chinasi AMP-attivata)

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico raccolto in due provette Vacutainer EDTA con 3ml di sangue intero.

Indicazione all’analisi:

l’analisi viene eseguita in soggetti con sospetto o chiara diagnosi di Cardiomiopatia Ipertrofica. Una volta identificata la mutazione causativa della malattia nel paziente il test può essere esteso a cascata sui familiari. La Cardiomiopatia Ipertofica è una malattia genetica e ciò implica la necessità di una diagnosi precoce e dello studio genetico dei familiari.

La cardiomiopatia dilatativa (DCM) è una malattia del muscolo cardiaco, caratterizzata dalla dilatazione ventricolare e dalla funzione sistolica ridotta. I pazienti presentano insufficienza cardiaca, aritmie e aumento del rischio di morte improvvisa. La prevalenza della DCM è 1/2.500, con un’incidenza di 7/100.000 casi l’anno. In molti casi, la malattia è ereditaria e viene, perciò, definita DCM familiare (FDC). La FDC corrisponde al 20-48% dei casi di DCM ed è causata soprattutto da mutazioni nei geni che codificano per le proteine del citoscheletro e del sarcomero delle cellule muscolari cardiache. In particolare la patologia è causata nel 6% dei casi da mutazioni nel gene LMNA (Lamina A/C), nel 4.2% dei casi da mutazioni nel gene MYH7 (Miosina 7), nel 3%-4% dei casi da mutazioni nel gene MYH6 (Miosina 6), nel 2%-4% dei casi da mutazioni nel gene SCN5A (subunità α del canale del sodio voltaggio-dipendente di tipo V) e nel 2%-4% dei casi da mutazioni nel gene MYBPC3 (proteina C legante la miosina).

Il test genetico:

consiste nella ricerca delle varianti di sequenza a carico dei geni associati alla patologia mediante Next Generation Sequencing e successivo sequenziamento in automatico (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante Next Generation Sequencing. I geni sequenziati ed analizzati sono:

LMNA,

MYH7,

MYH6,

SCN5A,

MYBPC3.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti (prelievo di sangue periferico in 2 provette Vacutainer da 3 ml con EDTA) per indagine postnatale.

Indicazione all’analisi:

su soggetti con diagnosi clinica accertata, con presenza di sospetto clinico o con familiarità

Si tratta di una rara disfunzione retinica, ereditaria e non evolutiva che coinvolge soprattutto i bastoncelli ed è presente alla nascita. Nella cecità notturna il soggetto lamenta una scarsa visione quando la luce si attenua o al buio, inferiore a quello che viene considerato normale, o anche uno scarso adattamento al variare delle condizioni di illuminazione. Esistono tre modelli di trasmissione ereditaria: autosomica dominante, recessiva e recessiva legata all’X. La malattia è eterogenea. L’unico sintomo è l’emeralopia e l’acuità visiva è moderatamente ridotta. Il fondo dell’occhio e il campo visivo non presentano alterazioni particolari.

Il test genetico:

consiste nella ricerca delle varianti di sequenza a carico dei geni associati alla patologia mediante Next Generation Sequencing e successivo sequenziamento in automatico (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante Next Generation Sequencing. I geni sequenziali ed analizzati sono:

GRM6, TRPM1,SLC24A1, per la diagnosi di cecità congenita notturna autosomica recessiva completa;

RHO, PDE6B, GNAT1, per la diagnosi di cecità congenita notturna autosomica dominante completa;

CACNA1F, CABP4 per la diagnosi di cecità congenita notturna x-linked ed autosomica recessiva incompleta.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti (prelievo di sangue periferico in 2 provette Vacutainer da 3 ml con EDTA) per indagine postnatale.

Indicazione all’analisi:

su soggetti con diagnosi clinica accertata, con presenza di sospetto clinico o con familiarità.

La celiachia è una patologia multifattoriale autoimmune che si manifesta in individui di tutte le età geneticamente predisposti. I geni HLA costituiscono i principali fattori genetici di rischio; pertanto la tipizzazione dell’HLA nella celiachia è un test di suscettibilità che valuta la maggiore o minore predisposizione di un individuo a sviluppare la malattia in base alla presenza/assenza di fattori di rischio (DQ2, DQ8 O DQB1-02). Si tratta di un test genetico che pur non avendo un significato diagnostico assoluto può contribuire a risolvere casi dubbi; viene soprattutto utilizzato per il suo valore predittivo negativo in quanto soggetti negativi per DQ2, DQ8 e DQB1-02 sviluppano difficilmente tale patologia.

Il test genetico:

Il test per la diagnosi di Celiachia consiste nella tipizzazione del gene HLA mediante amplificazione con Multiplex-PCR (Polymerase Chain Reaction) del gene e successiva analisi dei prodotti amplificati mediante elettroforesi su gel di agarosio.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3ml di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA), da liquido amniotico, villi coriali e sangue fetale.

Indicazioni all’analisi:

il test si effettua in caso di incertezza diagnostica oppure in soggetti appartenenti a categoria a rischio cioè familiari di celiaci e pazienti affetti da patologie associate alla celiachia, come: diabete mellito tipo 1, deficienza selettiva di IgA, tiroiditi autoimmuni, spettro autistico etc..

La displasia/cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro (D/ARVD) è una cardiopatia del muscolo cardiaco, caratterizzata clinicamente da aritmie ventricolari pericolose per la vita dei pazienti. La prevalenza è stimata tra 1:2.500 e 1:5.000. La D/ARVD è una delle cause maggiori di morte improvvisa nei giovani e negli atleti. La malattia consiste in una distrofia geneticamente determinata del miocardio del ventricolo destro, che viene sostituito da un tessuto grasso-fibroso di tale entità da causare aneurismi del ventricolo destro. I geni correlati con la patologia, responsabili del rimodellamento dei dischi intercalari, codificano per le seguenti proteine delle giunzioni cellulari meccaniche: placo globina (JUP), placofilina (PKP2), desmogleina (DSG2), desmocolina (DSC2), desmoplakina (DSP). È stata riscontrata la ricorrenza familiare con trasmissione autosomica dominante e penetranza variabile.

Il test genetico:

consiste nella ricerca delle varianti di sequenza a carico dei geni associati alla patologia mediante Next Generation Sequencing e successivo sequenziamento in automatico (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante Next Generation Sequencing. I geni sequenziati ed analizzati sono:

DSP

PKP2

DSG2

DSC2

JUP.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti (prelievo di sangue periferico in 2 provette Vacutainer da 3 ml con EDTA) per indagine postnatale.

Indicazione all’analisi:

su soggetti con diagnosi clinica accertata, con presenza di sospetto clinico o con familiarità

La Degenerazione maculare senile o DMS, è una patologia multifattoriale, nella quale oltre ad una componente genetica giocano un ruolo importante fattori quali il fumo, la dieta, l’età, i livelli plasmatici di colesterolo, l’ipertensione, esposizione alla luce solare. La DMS colpisce soprattutto le persone con più di cinquant’anni ed il rischio di sviluppare la malattia aumenta notevolmente con il progredire dell’età. Si stima che almeno una persona su quattro con più di 70 anni sia colpita da DMS. La DMS ha una prevalenza che varia dal 8.5% al 11% nella fascia di età compresa tra i 65 e i 74 anni, e del 27% al di sopra dei 75 anni. È ormai riconosciuto che la degenerazione maculare senile presenta una componente genetica: circa il 20% dei pazienti affetti presenta una storia familiare positiva per alterazioni a carico del gene ABCR o ABCA4 (ATP- binding cassette, sub-family A member 4) associato anche alla malattia di Stargardt. Sembra infatti che, mentre due alterazioni in questo gene causano la malattia di Stargardt, una sola alterazione predisponga allo sviluppo in età avanzata della DMS.

Il test genetico:

consiste nella ricerca di varianti di sequenza a carico degli esoni e delle regioni introniche fiancheggianti del gene ABCA4, VEGF e PEDF mediante NGS (Next Generation Sequencing) e conferma delle varianti rilevate con NGS, mediante sequenziamento diretto con metodica Sanger. Nei casi più indicativi e dove vi è richiesta del medico inviante, è possibile effettuare anche l’analisi mediante MLPA (Multiplex Ligation-dipendent Probe Amplification) per la ricerca di delezioni o duplicazioni a carico del gene ABCA4, non rilevabili utilizzando la metodica NGS.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico, 2 provette da 3ml di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA.

Indicazioni all’analisi:

l’analisi viene eseguita in soggetti con sospetto o chiara diagnosi di Degenerazione Maculare Senile. La DMS è una malattia genetica autosomica recessiva ciò implica la necessità di una diagnosi precoce e dello studio genetico dei familiari.

La Disomia Uniparentale consiste nell’ ereditarietà di due cromosomi omologhi da parte di un solo genitore, seguiti generalmente da meccanismi di correzione, monosomie o trisomie; tale alterazione sembrerebbe associata maggiormente all’ età materna.

L’analisi di UPD si rende necessaria quando sia stata evidenziata una trisomia a mosaico per il cromosoma 15, perché è stata dimostrata correlazione tra UPD materna e paterna e l’espressione di fenotipi patologici come la Sindrome di Prader-Willi, la Sindrome di Angelman. Sempre per gli stessi motivi è consigliata l’analisi di UPD anche in presenza di marcatori soprannumerari che coinvolge il cromosoma 15.

Il test genetico:

il test consiste nell’analisi di 4 polimorfismi del DNA relativi al cromosoma 15 nel paziente ed il loro confronto con gli stessi polimorfismi analizzati sui campioni dei genitori del paziente stesso. L’analisi molecolare si basa sulla metodica della PCR (Polymerase Chain Reaction) delle Short Tandem Repeat (STR), dei cromosomi in analisi e mediante corsa elettroforetica dei prodotti amplificati.

Il test si esegue:

per i genitori il test si esegue su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3 ml di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA); per il figlio si utilizzano campioni di villi coriali, liquido amniotico, linfociti da sangue fetale o linfociti da sangue periferico.

Indicazioni all’analisi:

l’indicazione a tale studio è data dalla presenza di mosaicismi, traslocazioni reciproche e robertsoniane, marcatori soprannumerari che coinvolgono i cromosomi nei quali è stata dimostrata la presenza di regioni soggette ad imprinting.

La Distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è una malattia genica degenerativa dei muscoli, che essendo a trasmissione recessiva legata al cromosoma X viene trasmessa dalle madri sane portatrici esclusivamente ai figli maschi, tranne rarissime eccezioni. La Distrofia di Duchenne è determinata da alterazioni di un gene, localizzato nel cromosoma X che codifica per una proteina chiamata distrofina. Le mutazioni possono essere di vario tipo e comprendono sia mutazioni puntiformi sia delezioni e duplicazioni di uno o più esoni del gene. Tali mutazioni hanno come effetto quello di causare l’assenza totale della proteina o la formazione di una proteina parzialmente funzionante (Distrofia Muscolare di Becker).

Il test genetico:

il test genetico si effettua mediante MLPA (Multiplex Ligation Probe Amplification) dei 79 esoni e del promotore alternativo DP427c del gene distrofina per la ricerca di delezioni e duplicazioni. Inoltre, sotto indicazione del medico specialista, è possibile eseguire un sequenziamento completo dell’intero gene DMD mediante tecnica NGS.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3 ml di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA) per diagnosi post natale; su DNA estratto da villi coriali, liquido amniotico o sangue fetale per diagnosi pre natale.

Indicazioni all’analisi:

in ambito post natale l’analisi per DMD/BMD si effettua nel caso di maschi affetti o nel caso di femmine sospette portatrici. In ambito prenatale si effettua solo nei casi in cui la madre è portatrice della mutazione (oppure appartiene ad un nucleo familiare nel quale emerge un rischio teorico elevato del suo stato di portatrice). La DMD/BMD è una malattia genetica ciò implica la necessità di una diagnosi precoce e dello studio genetico dei familiari.

L’Emocromatosi è una malattia ereditaria caratterizzata da progressivo accumulo di ferro alimentare dell’organismo. Tale patologia può essere asintomatica fino ad arrivare ad un livello di accumulo di ferro nell’organismo che diventa tossico, provocando gravi danni come cirrosi epatica, diabete, impotenza nell’uomo, alterazioni del ciclo mestruale nella donna e infertilità in entrambi. Esistono diverse forme di Emocromatosi causate da mutazioni in differenti geni. La forma più comune è l’Emocromatosi Classica o di Tipo I, dovuta a mutazioni del gene HFE situato sul cromosoma 6p; l’Emocromatosi di Tipo 2 (detta anche Emocromatosi Giovanile) è una forma molto più rara dovuta a mutazioni nel gene dell’emojuvelina HJV localizzato sul cromosoma 1q (Sottotipo 2A) o a mutazioni nel gene dell’epcidina HAMP sito sul cromosoma 19q (sottotipo 2B).

Il test genetico:

il test genetico per la diagnosi di Emocromatosi prevede la ricerca delle mutazioni C282Y, H63D e S65C del gene HFE, che rappresentano le mutazioni più frequenti nella popolazione. Tale test viene eseguito utilizzando tecniche di Real-Time PCR. Nel caso il test risulti negativo è possibile estendere l’analisi alla ricerca di ulteriori mutazioni a carico del gene HFE per un totale di 15 mutazioni rilevate. In questo caso la metodica utilizzata è quella del reverse dot blot.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3 mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA).

Indicazioni all’analisi:

Il test di primo livello è eseguito quando la sintomatologia clinica e gli esami di laboratorio sono indicativi della patologia. L’ approfondimento per la ricerca delle 15 mutazioni del gene HFE è eseguito su richiesta dello specialista, per soggetti risultati negativi o portatori al test di I livello (assenza delle 3 mutazioni ricercate o presenza di una sola mutazione in eterozigosi) e con un profilo clinico – biochimico caratterizzato da iperferritinemia e saturazione della transferrina > 45%, in assenza di patologie epatiche, disordini ematologici o altre forme di sovraccarico di ferro secondarioLa HFE è una malattia genetica ciò implica la necessità di una diagnosi precoce e dello studio genetico dei familiari.

La febbre mediterranea familiare (FMF) è una malattia autoinfiammatoria con brevi episodi ricorrenti di febbre e sierosite, che esitano in dolore addominale, toracico, articolare e muscolare. La FMF è tipica del Sud-Est del Mediterraneo con una prevalenza di 1/200-1/1000. La Febbre Mediterranea si suddivide in FMF tipo 1 e 2. Il tipo 1 presenta attacchi di febbre e sierosite, che durano 1-4 giorni e si risolvono spontaneamente.  Il tipo 2 presenta amiloidosi, che costituisce il primo e unico sintomo. Stress, esposizione al freddo, pasti ricchi in grassi, infezioni, alcuni farmaci e ciclo mestruale sono possibili fattori scatenanti. La Febbre Mediterranea è una malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva dovuta a mutazioni nel gene MEFV, collocato sul cromosoma 16; la varianza fenotipica di tale patologia è dovuta alle numerose mutazioni descritte per tale gene, circa 218, che codifica per la proteina pirina/marenostrina (le mutazioni M694V omozigoti si associano a una forma clinica più grave). Poiché non tutti i pazienti presentano una mutazione di MEFV, è probabile che siano coinvolti altri fattori. 

Il test genetico:

Il test genetico ha un valore predittivo positivo nel 70-80% dei casi e consiste nel sequenziamento diretto (metodo Sanger) del gene MEFV per l’analisi delle mutazioni (note) causative della patologia.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico raccolto in due provette Vacutainer EDTA con 3ml di sangue intero.

Indicazione all’analisi:

l’analisi viene eseguita in soggetti con sospetto o chiara diagnosi di Porfiria e nei soggetti con familiarità.

La Fibrosi Cistica (CF) è una malattia ereditaria, cronica evolutiva, causata da mutazioni del gene CFTR che codifica per una proteina che regola gli scambi idroelettrici. La frequenza della malattia è di circa un affetto ogni 2500-2700 nati. Le mutazioni fino ad ora descritte per la Fibrosi Cistica sono oltre 1500. In un malato di CF entrambi le copie del gene CFTR sono mutate, mentre nei portatori sani solo una copia del gene risulta mutata. La Fibrosi Cistica interessa prevalentemente il pancreas, il fegato, l’intestino, l’apparato riproduttivo e le vie aeree, comportando la produzione di secrezioni “disidratate” : il sudore è ricco di sodio e cloro ed il muco è denso e vischioso.

Il test genetico:

di primo livello è finalizzato all’ analisi per la ricerca delle 67 mutazioni più ricorrenti nella popolazione Italiana, mediante la tecnica del reverse dot blot. E’ possibile inoltre effettuare un approfondimento di secondo livello per la ricerca delle mutazioni rare mediante il sequenziamento diretto del gene CFTR e screening di terzo livello per la ricerca di delezioni e duplicazioni mediante la metodica MLPA.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico raccolto in due provette Vacutainer EDTA con 3ml di sangue intero.

Indicazioni all’analisi:

Il test è consigliato:

  • per coppie che non riescono ad avere figli per sottoporsi alle pratiche di inseminazione artificiale, 
  • per coppie di soggetti consanguinei,
  • per coppie con gravidanza con intestino iperecogeno fetale,
  • per individui con storia familiare positiva,
  • in presenza di sospetto clinico,
  • CBAVD con test del sudore positivo o borderline.

La FC è una malattia genetica pertanto è necessaria una diagnosi precoce.

L’ intolleranza al lattosio, lo zucchero del latte, è una delle più diffuse intolleranze alimentari, dovuta alla mancanza di un enzima, la lattasi, prodotta dalle cellule del primo tratto dell’intestino. In questo caso si parla di deficienza primaria ed è ereditaria. Possono esserci però casi (morbo di Crohn, celiachia, infiammazioni e infezioni dell’intestino) in cui danni all’intestino distruggono le cellule che producono la lattasi ed in questo caso si può avere un’intolleranza secondaria (acquisita).

I sintomi sono vari e dipendono dai gradi di intolleranza al lattosio che va da pressoché totale a molto moderata. In genere comunque da trenta minuti a due ore dall’ ingestione di latte o derivati si comincia ad avvertire nausea, senso di gonfiore, crampi, meteorismo, disturbi intestinali e, a volte, il tutto è accompagnato da rash cutanei.

Il test genetico:

l’ intolleranza primaria al lattosio è riconducibile ad un polimorfismo nella posizione C-13910 del gene MCM6 (una regione regolatrice del gene della lattasi), che nell’omozigosi porta ad una carenza di lattasi nei microvilli dell’intestino tenue. La trasmissione ereditaria è autosomica recessiva, solo i portatori omozigoti sono dunque affetti dall’ intolleranza. Il test consiste nella genotipizzazione del polimorfismo C-13910 del gene MCM6 mediante Real-Time PCR (Real tyme Polimerase Chain Reaction) e successiva analisi dei prodotti amplificati.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA).

Indicazioni all’analisi:

Il test viene effettuato nei soggetti in cui c’è il sospetto clinico per la positività alla sintomatologia.

L’iperplasia surrenalica congenita classica da deficit di 21-idrossilasi (21 OHD CAH classica) è la forma più comune di iperplasia surrenalica congenita (CAH); è caratterizzata dalla forma virilizzante semplice oppure dalla forma con perdita di sale. Entrambe possono manifestarsi con ambiguità dei genitali nelle femmine e, in entrambi i sessi, con insufficienza surrenalica associata a disidratazione nel periodo neonatale, ipoglicemia potenzialmente fatale e iperandrogenismo. La prevalenza è circa 1/14.000. La CAH è una malattia genetica a trasmissione autosomica recessica causata da una mutazione nel gene CYP21A2, localizzato sul cromosoma 6p21, che controlla il cortisolo e la produzione di aldosterone; la mutazione in questo gene altera la sintesi ed i livelli di cortisolo ed aldosterone.

Il test genetico:

consiste nell’amplificazione di DNA mediante Multiplex-PCR (Polymerase Chain Reaction) e successiva rilevazione mediante reverse dot blot, MLPA del gene CYP21A2 e del suo pseudogene e sequenziamento automatico Sanger del gene CYP21A2 .

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA), da liquido amniotico, villi coriali e sangue fetale.

Indicazioni all’analisi:

il test è rivolto ai soggetti che presentano sospetto clinico.

L’ipocusia è l’indebolimento dell’apparato uditivo dovuto ad un danno o alla degenerazione di uno o più dei suoi componenti. Può interessare un solo orecchio o entrambi e comporta una riduzione dell’udito lieve, media o grave. Le cause della ipoacusia possono essere molteplici: I’infezione, abuso di farmaci, o fattori genetici. Mutazioni puntiformi nei gene CNX26 e CNX30 e una mutazione delta (GJB6-D13S1830) nel gene CNX30 sono responsabili dell’ ipoacusia genetica. I geni CNX codificano per proteine di membrana chiamate connessine che si assemblano per formare canali nella membrana plasmatica e assicurare la comunicazione tra cellule adiacenti (gap-junction).

Il test genetico:

consiste nella amplificazione mediante PCR (Polymerase Chain Reaction) e sequenziamento diretto con metodo Sanger dei geni CNX26 e CNX30 per la ricerca di mutazioni puntiformi. Per l’analisi della mutazione delta del gene CNX30 viene eseguita una PCR (Polymerase Chain Reaction) e successiva analisi mediante elettroforesi su gel di agarosio.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA), da liquido amniotico, villo coriale e sangue fetale.

Indicazione all’analisi:

il test è rivolto a soggetti che presentano un sospetto clinico o una familiarità per l’ipoacusia.

L’ipogonadismo ipogonadotropo congenito (CHH) è una malattia rara dello sviluppo sessuale caratterizzata da deficit delle gonadotropine (Gn) associato a bassi livelli di steroidi sessuali, dell’ormone follicolo stimolante (FSH) e luteinizzante (LH). La prevalenza esatta non è nota, si stima di circa 1/5.000. Il CHH può essere sospettato alla nascita nei maschi con micropene (spesso associato a criptorchidismo), nell’adolescenza, in caso di mancata pubertà, o nella vita adulta, come causa di infertilità. Il CHH è considerato isolato (IHH) quando il deficit è limitato alle gonadi. Sono stati definiti due sottotipi di IHH: la sindrome di Kallmann (CHH con anosmia), che si associa a un difetto della migrazione embrionale dei neuroni che sintetizzano l’ormone che rilascia le gonadotropine (GnRH), e l’IHH normosomico (nIHH), nel quale l’HH è l’unico sintomo. L’ipogonadismo ipogonadotropo congenito fa anche parte di diverse altre condizioni, come le sindromi di Prader-Willi, Bardet-Biedl, Laurence-Moon e CHARGE. L’analisi molecolare dei geni candidati costituisce un importante strumento per la diagnosi.

Il test genetico

Il test genetico per la diagnosi di CHH consiste nel sequenziamento dei geni associati alla patologia mediante NGS (Next Generation Sequencing) ed il sequenziamento in automatico con metodo Sanger per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante NGS. I geni analizzati sono:

·         GNRHR

·         GNRH1

·         KISS1R

·         KISS1

·         TAC3

·         TACR3

·         KAL1

·         FGFR1

·         FGF8

·         PROK2

·         PROKR2

·         WDR11

·         CHD7

·         SEMA3A

·         HS6ST1

·         SOX10

·         NROB1

·         NR5A1

·         PIN1

·         SEMA3E

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti (prelievo di sangue periferico in 2 provette Vacutainer con EDTA da 3mL).

Indicazioni all’analisi:

l’analisi è consigliata per i soggetti affetti (con diagnosi clinica eseguita tramite esami strumentali indicativi per tale patologia) o in presenza di sospetto clinico.

È un’affezione maculare bilaterale ereditaria che presenta una penetranza incompleta ed espressività variabile. La diagnosi è spesso agevole e si avvale dell’aspetto clinico, fluorangiografico e degli esami elettrofisiologici. Tale patologia viene frequentemente trasmessa con modalità autosomica dominante.

I geni principalmente responsabili sono BEST1 (VMD2) e PRPH2 (RDS/periferina).

Il test genetico:

Il test genetico per la diagnosi della Malattia di Best consiste nel sequenziamento dei geni PRPH2 e BEST1 mediante NGS (Next Generation Sequencing) ed il sequenziamento diretto (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante NGS.

L’analisi si esegue su:

DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA).

Indicazioni all’analisi:

l’analisi si effettua in presenza di sospetto clinico, per familiarità o sui soggetti affetti con diagnosi clinica eseguita tramite esami strumentali indicativi per tale patologia: indagini elettrofisiologiche (elettroretinogramma ed elettroculogramma), fluorangiografia retinica.

La malattia di Fabry (FD) è una malattia ereditaria a trasmissione recessiva legata all’ X che viene considerata rara per la sua bassa incidenza, 1 su 80000 nati vivi. Tale incidenza aumenta ad 1 su 3000 se si considerano le varianti ad esordio tardivo. La Malattia di Fabry è provocata da un alterazione del metabolismo dei glicosfingolipidi dovuta a un deficit di un enzima lisosomiale, l’alfagalattosidasi A. GLA è il gene interessato. Il quadro clinico comprende un ampio spettro di sintomi, che varia dalle forme lievi, nelle donne eterozigote, ai casi gravi, nei maschi emizigoti con le forme classiche, che non presentano alcuna attività dell’ enzima alfagalattosidasi A. I sintomi più comuni includono dolore cutaneo (angiocheratoma), renale (insufficienza renale), cardiovascolare (cardiomiopatia ed aritmia).

Il test genetico:

il test si basa sull’ amplificazione mediante PCR (Polymerase Chain Reaction) e sequenziamento delle regioni codificanti del gene a-GalA per l’identificazione delle mutazioni puntiformi e sull’ analisi mediante MLPA (Multiplex LigationDipendent Probe Amplification) dei 7 esoni del gene per la ricerca di delezioni o duplicazioni.

L’analisi si esegue su:

DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA), da liquido amniotico, villi coriali e sangue fetale.

Indicazioni all’analisi:

tutti i pazienti che presentano richiesta specifica di studio genetico per malattia di Fabry, per sospetto clinico o per familiarità.

La malattia di Stargardt è la più comune degenerazione maculare con ereditarietà di tipo recessivo (incidenza pari a 1:10.000). E’ caratterizzata da un esordio in età giovanile con riduzione della visione centrale, da una progressiva bilaterale atrofia dell’epitelio pigmentato maculare e del neuroepitelio associata frequentemente alla presenza di chiazzette bianco/giallastre distribuite intorno alla macula e/o in media periferia retinica (fundus flavimaculato). Il gene responsabile è ABCA4 o ABCR (ATP binding cassette transporter), che codifica per una proteina di trasporto attraverso le membrane cellulari. Più raramente la malattia di Stargardt è trasmessa con modalità autosomica dominante, in questo caso il gene più frequentemente alterato è il gene ELOVL4 (Gene Elongation of very long chain fatty acids protein 4).

Il test genetico:

consiste nell’ amplificazione mediante PCR (Polymerase Chain Reaction) degli esoni del gene ABCA4 e successivo sequenziamento delle regioni codificanti e delle regioni introniche fiancheggianti.

Nei casi più indicativi e dove vi è richiesta del medico inviante è possibile effettuare anche l’ analisi mediante MLPA (Multiplex Ligation-Dipendent Probe Amplification) per la ricerca di delezioni o duplicazioni a carico del gene ABCA4, non rilevabili con il sequenziamento.

Il test si esegue su:

DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA)

Indicazione all’analisi:

è suggerita ai soggetti affetti con diagnosi clinica effettuata tramite esami strumentali indicativi per tale patologia : indagini elettrofisiologiche (elettroretinogramma ed elettroculogramma), fluorangiografia retinica, ecc., o in presenza di sospetto clinico e per familiarità.

Il Melanoma cutaneo è un tumore maligno che deriva dalla trasformazione dei melanociti, alcune cellule che compongono la pelle. Tale tumore è piuttosto raro nei bambini e colpisce soprattutto soggetti intorno ai 45-50 anni. I principali fattori di rischio per il Melanoma cutaneo sono l’esposizione alla luce ultravioletta, l’ insufficienza del sistema immunitario e alcume malattie ereditarie come lo Xeroderma pigmentoso. Il 25% dei casi di Melanoma è causato dalla mutazione del gene onco-soppressore CDKN2A che codifica per 2 proteine deputate al controllo negativo del ciclo cellulare: p16 e p19ARF.Mutazioni a carico di questo gene determinano una incapacità di limitare la crescita tumorale, con conseguente sviluppo del cancro. La patologia risulta ereditata con un meccanismo autosomico dominante a penetranza variabile.

Il test genetico:

consiste nell’amplificazione degli esoni del gene CDKN2A mediante PCR (Polymerase Chain Reaction) e sequenziamento diretto con il metodo Sanger. I prodotti amplificati sono sottoposti a separazione elettroforetica mediante elettroforesi capillare ed analisi con apposito software.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA).

Indicazioni all’ analisi:

è consigliato dai dermatologi nei pazienti che hanno subito asportazione chirurgica di nevi sospetti e nei familiari di pazienti con melanoma acclarato. Alcune forme di Melanoma sono ereditarie pertanto è necessaria la diagnosi precoce e l’analisi genetica dei familiari.

La sterilità maschile, da delezione del cromosoma Y, è caratterizzata da grave deficit della spermatogenesi. Le microdelezioni del cromosoma Y sono una causa genetica frequente di sterilità maschile. La prevalenza stimata è di 1/2.500. Il 5-10% dei casi di azospermia (assenza di sperma) o di oligospermia grave di tipo secretorio (<1 milione di spermatozoi/ml di liquido seminale) si associano a microdelezioni nella porzione eucromatica del braccio lungo del cromosoma Y, nel locus AZF (Fattore Azospermia).  In questa regione, la struttura del cromosoma Y è ricca in sequenze palindrome ripetute in numero variabile, nominate STS (Sequenze Tagget Sites); la ricombinazione tra due di queste sequenze fiancheggianti, accomunate da un elevato grado di omologia, genera tal volte delezioni più o meno estese. Non tutte le delezioni del cromosoma Y causano necessariamente infertilità: in primo luogo, alcune delezioni (specialmente, alcune delezioni parziali) non comportano difetti della spermatogenesi; in secondo luogo, alcuni uomini con grave oligospermia possono avere figli senza ricorrere a terapie per l’infertilità.

Il test genetico:

consente di valutare la presenza di eventuali microdelezione del cromosoma Y responsabili delle alterazioni della spermatogenesi. Il test si effettua mediante amplificazione del DNA conMultiplex-Polymerase Chain Reaction che consente di amplificare 6 STS nel locus AZF e altri target di controllo. Gli amplificati ottenuti sono separati mediante elettroforesi capillare ed analizzati mediante un apposito software.

Il test si effettua:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA).

Indicazioni all’analisi:

il test si esegue in soggetti con infertilità idiopatiche, alterazioni dello spermiogramma quali azoospermia o oligospermia.

Le Neoplasie Endocrine Multiple (MEN) si distinguono in MEN tipo 1 e MEN tipo 2, quest’ ultima si classifica in MEN 2A e MEN 2B. Tutte le MEN condividono alcune caratteristiche, sono tutti tumori composti da cellule di origine neuroendocrine, hanno una caratteristica progressione istologica da iperplasia ad adenoma e, talora, a carcinoma e sono sindromi ereditarie con trasmissione autosomica dominante. 

La MEN 1 (sindrome di Wermer) è caratterizzata da iperplasia delle paratiroidi, tumori del pancreas endocrino e tumori dell’ ipofisi. 

La MEN 2A è costituita da carcinoma midollare della tiroidefeocromocitoma e iperplasia/neoplasia delle paratiroidi. Una sua variante è il carcinoma midollare familiare (FMTC) della tiroide in cui l’unica manifestazione della sindrome è il tumore tiroideo.

La MEN 2B presenta carcinoma midollare della tiroidefeocromocitoma, neuromi multipli delle mucose, habitus marfanoide.

Il gene responsabile della MEN 1 è un oncosoppressore localizzato nel cromosoma 11 coinvolto nella crescita cellulare. La proteina prodotta da tale gene (gene MEN 1) è stata denominata menina. Affinché si manifesti la sindrome clinica è necessario che alla mutazione germinale si associ una mutazione somatica. Tali mutazioni del gene MEN 1 sono presenti in oltre il 90% delle famiglie affette. Il gene responsabile della MEN 2, invece, è il protooncogene RET, localizzato nel cromosoma 10, che codifica per un recettore tirosin-chinasico. La mutazione in tale gene può causare uno stimolo continuo alla crescita cellulare e quindi lo sviluppo delle neoplasie tipiche dalla MEN 2.

Il test genetico:

Il test genetico per la diagnosi della Neoplasia Endocrina Mutipla consiste nel sequenziamento dei geni MEN1 e RET mediante NGS (Next Generation Sequencing) e nel sequenziamento automatico (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante NGS.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA).

Indicazioni all’analisi:

il test si esegue sui soggetti affetti con diagnosi clinica effettuata tramite esami strumentali indicativi per tale patologia e/o in presenza di sospetto clinico e per familiarità.

La neuropatia ereditaria con predisposizione a paralisi ricorrenti sensibili alla pressione (HNPP) è una malattia autosomica dominante che causa una neuropatia demielinizzante episodica e ricorrente.

Segni clinici dovuti alle mononeuropatie sono il piede cadente, l’intorpidimento e la debolezza di mani e braccia, la perdita sensoriale dell’indice o del pollice o della porzione laterale della mano. L’HNPP è dovuta ad una mutazione del gene PMP22 (17p12), che codifica per la proteina della mielina periferica 22 (PMP22), espressa prevalentemente nella mielina compatta del sistema nervoso periferico. Nell’80% dei casi la HNPP è dovuta alla delezione di 1.5-Mb nella regione cromosomica 17p11.2-12, che comprende PMP22.

Il Test genetico

Il test genetico per la diagnosi della Neuropaia ereditaria con paralisi da pressione consiste, per il primo livello, nella ricerca di delezioni del gene PMP22 mediante MLPA.

Ove richiesto è possibile il sequenziamento dell’intero gene PMP22.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA).

Indicazioni all’analisi:

l’analisi si effettua su tutti i pazienti che presentano richiesta specifica per studio molecolare per HNPP, in caso di sospetto clinico o per familiarità. Tale esame è richiesto di solito dal neurologo e prevede una consulenza pre test in cui vengono raccolte le informazioni cliniche e la storia familiare.

Le Porfirie sono un gruppo di malattie metaboliche, con penetranza variabile, caratterizzate da manifestazioni neuroviscerali intermittenti, da lesioni cutanee, o dalla combinazione delle due. Le Porfirie sono classificate in epatiche o eritropoietiche a seconda dalla origine principale dell’anomalia metaboliche. I sintomi sono molto variabili ma la fotosensibilità cutanea accomuna tutte le diverse forme di Porfirie, le quali sono dovute a deficit di uno degli enzimi coinvolti nella biosintesi dell’ eme; tale deficit è responsabile dell’accumulo di porfirine e dei loro precursori (acido delta-aminolevulinico, ALA e porfobilinogeno, PBG) nel fegato e nel midollo osseo. Tali patologie hanno origine genetica, penetranza variabile e la trasmissione risulta autosomica dominate con penetranza incompleta oppure autosomica recessiva con penetranza completa. 

Il test genetico:

la diagnosi differenziale di Porfiria viene effettuata, al seguito del dosaggio delle porfirine nei diversi liquidi biologici e dei precursori delle porfirine nelle urine, grazie all’analisi genetica che consente di individuare il gene mutato. L’esame consiste nell’analisi dei geni attualmente individuati come principale causa delle Porfirie mediante tecnica NGS (Next Generation Sequencing) e successivo sequenziamento in automatico (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante Next Generation Sequencing.

I geni sequenziali sono:

ALAD

2-ALAS2

CPOX

FECH

GATA1

HFE

UROS

HMBS

PROX

UROD

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA).

Indicazione all’analisi:

l’analisi viene eseguita in soggetti con sospetto o chiara diagnosi di Porfiria e nei soggetti con familiarità.

La sindrome del QT lungo (LQTS) è una cardiopatia ereditaria caratterizzata dal prolungamento dell’intervallo QT all’ECG basale e dal rischio elevato di aritmie che possono portare al decesso. La prevalenza della malattia è stimata in circa 1 ogni 2.000 nati vivi. I due sintomi principali della LQTS sono episodi sincopali che possono provocare l’arresto cardiaco e le anomalie elettrocardiografiche che comprendono il prolungamento dell’intervallo QT e le anomalie dell’onda T. Tutti i geni finora identificati per la LQTS codificano per le subunità o le proteine del canale ionico cardiaco coinvolte nelle correnti ioniche modulanti. La variante di LQTS più rilevante (LQT1) è dovuta alle mutazioni del gene KCNQ1, presenti in circa la metà dei pazienti genotipizzati. Le altre forme di LQTS sono dovute a mutazioni del gene KCNH2 (LQT2), nel 30% dei pazienti, e del gene SCN5A (QTL3), nel 10% dei pazienti. Altri geni (KCNE1 e KCNE2) sono responsabili in percentuale minore della patologia. La malattia può essere trasmessa con modalità autosomica dominante (Sindrome di Romano-Ward) o con modalità autosomica recessiva (Sindrome di Jervell e Lange–Nielsen), ma quest’ultima è associata a sordità neurosensoriale.

Il test genetico:

consiste nella ricerca delle varianti di sequenza a carico dei geni associati alla patologia mediante Next Generation Sequencing e successivo sequenziamento in automatico (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante Next Generation Sequencing. I geni sequenziati ed analizzati sono:

KCNQ1,

KCNH2,

SCN5A,

KCNE1,

KCNE2.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti (prelievo di sangue periferico in 2 provette Vacutainer da 3 ml con EDTA), per indagine postnatale.

Indicazione all’analisi:

su soggetti con diagnosi clinica accertata, con presenza di sospetto clinico o con familiarità.

Il rene policistico dell’adulto o ADPKD (Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease) è una delle malattie genetiche più comuni, con un’incidenza di 1 su 400-1000 nati vivi.

È una malattia sistemica che interessa diversi organi e apparati, ma colpisce in particolare i due reni rappresentando la principale causa genetica di insufficienza renale dell’adulto, situazione che consegue al progressivo sviluppo e crescita di cisti renali. L’ADPKD è una malattia a trasmissione autosomica dominante nella quale sono coinvolti 2 geni: PKD1 e PKD2.

Il test genetico:

il test genetico per la diagnosi del Rene Policistico prevede il sequenziamento delle regioni codificanti e di parte delle regioni introniche dei geni PKD1 e PKD2, per la ricerca delle mutazioni puntiformi responsabili dell’insorgenza della malattia, mediante amplificazione con PCR (Polymerase Chain Reaction) e sequenziameno degli esoni dei geni PDK1 e PDK2.

Il test si esegue

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA).

Indicazioni all’analisi:

l’analisi si effettua su tutti i pazienti che presentano richiesta specifica di studio genetico per Rene policistico dell’adulto o Rene policistico autosomico dominante, in caso di sospetto clinico o per familiarità. Tale esame è richiesto di solito dal nefrologo e prevede una consulenza pre test in cui vengono raccolte le informazioni cliniche e la storia familiare. Il test genetico viene eseguito al fine di:

  • confermare una diagnosi di ADPKD,
  • eseguire una diagnosi presintomatica,
  • confermare lo status genetico di potenziali donatori di rene.

La retinite pigmentosa è una affezione ereditaria geneticamente determinata a trasmissione variabile.

La malattia si manifesta in giovane età ed è caratterizzata da una perdita progressiva del campo visivo ad iniziare dalla periferia retinica per compromettere poi la zona centrale con gravi limitazioni sia visive sia del campo visivo periferico. La malattia può portare sino alla cecità completa. E’ una malattia progressiva, altamente invalidante, anche nelle fasi molto precoci. L’incidenza è di circa 1 affetto ogni 3-4000 individui. Sono stati identificati circa 50 geni/loci responsabili della RP non sindromica (forme autosomiche dominanti, autosomiche recessive, legate all’X e digeniche). La diagnosi clinica si basa sulla presenza di cecità notturna e sui difetti del campo visivo periferico, sulle lesioni nel fondo dell’occhio, sul tracciato elettroretinografico ipovoltato e sul progressivo peggioramento di questi segni.

Il test genetico

Il test genetico si basa sulla ricerca delle varianti di sequenza a carico dei geni associati alla patologia mediante NGS (Next Generation Sequencing) ed il sequenziamento in automatico (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante NGS. I principali geni analizzati sono:

• ABCA4 (ATP-binding cassette, sub-family A member 4)

• USH2A (usherina)

• CRB1 (crumbs homolog 1)

• RPE65 (retinal pigment epithelium-specific protein 65kDa)

• RDH12 (retinol dehydrogenase 12 all-trans/9-cis/11-cis)

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico raccolto in due provette da 3mL di sangue intero Vacutainer con EDTA.

Indicazioni all’analisi:

soggetti affetti con diagnosi clinica effettuata tramite esami strumentali indicativi per tale patologia: indagini elettrofisiologiche (elettroretinogramma ed elettroculogramma), fluorangiografia retinica, ecc. o in presenza di sospetto clinico e per familiarità.

La malattia di Charcot-Marie-Tooth (CMT), nota anche come Neuropatia motorio-sensitiva, è una malattia neurologica ereditaria a carico del sistema nervoso periferico; interessa 36 casi ogni 100.000

nascite. Sulla base del gene coinvolto e della sintomatologia riscontrata si distinguono: CMT di tipo 1, la forma piu’ comune, CMT di tipo 2, CMT tipo 4 e CMT X-linked. Il Centro Polidiagnostico Strumentale Ames effettua la diagnosi molecolare di tutte le forma.

Il test genetico:

si esegue il sequenziamento, mediante la tecnologia Next Generation Sequencing, dei seguenti geni:

PMP22, 

MPZ, 

LITAF, 

EGR2, 

MFN2, 

KIF1B, 

RAB7A, 

LMNA, 

TRPB4,

BSCL2, 

GARS, 

NEFL, 

HSPB1, 

MPZ, 

GDAP1, 

HSPB8, 

DNM2, 

GDAP1, 

MTMR2, 

SBF2, 

SH3TC2, 

NDRG1, 

PRX, 

FGD4, 

FIG4, 

GJB1,

PRPS1.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3 ml di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA), liquido amniotico e villi coriali.

Indicazione all’analisi:

l’analisi si effettua su tutti i pazienti che presentano richiesta specifica per studio molecolare per Charcoot Marie Tooth, in caso di sospetto clinico o per familiarità. Tale esame è richiesto di solito dal neurologo e prevede una consulenza pre test in cui vengono raccolte le informazioni cliniche e la storia familiare.

La sindrome di Marfan è una malattia genetica che colpisce il tessuto connettivo, cioè il tessuto che costituisce l’impalcatura dell’organismo. La malattia comporta manifestazioni principali a carico dell’apparato cardiovascolare (prolasso della valvola mitrale e dilatazione dell’aorta, che può arrivare a rompersi), dell’apparato scheletrico (statura molto alta, aspetto “dinoccolato”, arti in proporzione molto più lunghi del tronco, dita lunghe e affusolate, articolazioni eccessivamente mobili, alterazioni dello sterno, piede piatto) e degli occhi (lussazione del cristallino, miopia). L’entità dei sintomi è molto variabile. Nella maggior parte dei casi la malattia è causata da mutazioni del gene della fibrillina-1 (FBN1), localizzato sul cromosoma 15. La trasmissione avviene in genere con modalità autosomica dominante. In alcune famiglie con una forma particolare della sindrome sono state identificate mutazioni a carico di altri due geni, chiamati TGFRB1 e TGFRB2. Di fatto i pazienti portatori di mutazioni in questi geni sono affetti da una sindrome che può somigliare a volte alla sindrome di Marfan, ma che si chiama sindrome di Loeys-Dietz.

Il test genetico

Il test genetico si basa sulla ricerca delle varianti di sequenza a carico del gene FBN1 e dei geni TGFRB1 e TGFRB2 mediante NGS (Next Generation Sequencing) e sul sequenziamento in automatico (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante NGS.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico raccolto in due provette Vacutainer EDTA con 3ml di sangue intero.

Indicazioni all’analisi:

soggetti affetti con diagnosi clinica effettuata tramite esami strumentali indicativi per tale patologia o in presenza di sospetto clinico e per familiarità.

La Sindrome di Angelman è un complesso disordine spesso di difficile diagnosi clinica specie nei primi anni di vita. La maggior parte dei casi deriva da una delezione della regione 15q11-q13 del cromosoma materno (circa 70%), solo il 3-5% dei casi è dovuto a disomia uniparentale paterna mentre è stata trovata una anomalia nel processo di imprinting in almeno un terzo del rimanente 25 % di pazienti. Si ipotizza anche la possibilità di una mutazione a carico del gene UBE3A riscontrata in alcuni pazienti con Sindrome di Angelman. L’analisi per la Sindrome di Angelman comprende uno studio di tipo citogenetico e uno di tipo molecolare.

La sintomatologia della malattia è eterogenea e include bassa statura, ritardo mentale grave, epilessia ed ipotonia.

Il test genetico

Il test genetico per la diagnosi di Angelman consiste nello studio del cariotipo per il rilevamento di eventuali riarrangiamenti cromosomici abbinato all’ amplificazione del DNA del probando e dei genitori mediante multiplex-QF-PCR (Quantitative Fluorescent Polymerase cChain Reaction) di specifiche STR (sequenze di DNA ripetute altamente polimorfiche) localizzate sul cromosoma 15. Gli amplificati ottenuti sono separati mediante elettroforesi capillare ed analizzati con uno specifico software per la ricerca di marcatori genetici indicativi di disomia uniparentale paterna.

Lo screening viene completato con l’analisi della regione critica 15q11.2-q13 per valutare eventuali difetti di metilazione dovuti a disomia uniparentale o a difetti di imprinting e di delezioni e/o duplicazioni mediante MS-MLPA (Multiplex Ligation-Dipendent Probe Amplification).

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico raccolto in due provette Vacutainer EDTA con 3ml di sangue intero.

Indicazioni all’analisi:

il test è consigliato per bambini con quadro clinico sospetto o con eventuale familiarità.

La sindrome di Brugada è una malattia genetica dei canali ionici che si manifesta con alterazioni elettrocardiografiche caratteristiche e può complicarsi con aritmie ventricolari maligne, causa di sincope e/o morte improvvisa. Dato che il quadro elettrocardiografico anomalo è spesso intermittente e la malattia presenta una grande variabilità geografica, è difficile stimare la prevalenza della malattia. Le coorti più numerose nei paesi orientali presentano una prevalenza tra 1/700 e 1/800. La prevalenza in Europa e negli Stati Uniti è più bassa: da 1/3.300 a 1/10.000. I sintomi in genere si presentano nella terza-quarta decade di vita e, più spesso, nei maschi rispetto alle femmine (8:1). Sono stati descritti sia casi sporadici che familiari e le analisi dell’albero genealogico suggeriscono una trasmissione autosomica dominante. Il primo gene coinvolto è il gene SCN5A, con una frequenza di mutazione del 25%, che codifica per la subunità α del canale del sodio voltaggio-dipendente, responsabile della depolarizzazione iniziale del ciclo cardiaco.

Il test genetico:

consiste nella ricerca delle varianti di sequenza a carico del gene associato alla patologia mediante Next Generation Sequencing e successivo sequenziamento in automatico (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante Next Generation Sequencing. Il geni sequenziato ed analizzato è SCN5A.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti (prelievo di sangue periferico in 2 provette Vacutainer da 3 ml con EDTA) per indagine postnatale.

Indicazione all’analisi:

su soggetti con diagnosi clinica accertata, con presenza di sospetto clinico o con familiarità.

Nella Sindrome di Gilbert l’alterazione genetica interessa il promotore del gene (UGT1A1) e comporta generalmente la presenza di 7 ripetizioni TA invece di 6 a livello del TATA box che produce l’enzima; in una piccola percentuale dei casi l’alterazione genetica può essere una mutazione nella regione codificante del gene UGT1A1. In questa malattia è, dunque, presente un deficit parziale dell’attività dell’enzima UDP-glucoronil transferasi, in particolare, della isoforma UGT1A1. L’entità di tale deficit, compreso tra il 20 e il 70% del valore normale, determina la diversa espressione clinica e gravità sintomatologica (ittero) della malattia.

Il test genetico:

Il test genetico si basa sulla ricerca delle varianti di sequenza a carico del gene UGT1A1 mediante NGS (Next Generation Sequencing) e sul sequenziamento in automatico (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante NGS.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico raccolto in due provette Vacutainer EDTA con 3ml di sangue intero.

Indicazioni all’analisi:

studio genetico per sospetto clinico o per familiarità.

La Sindrome di Prader-Willi è una malattia genetica rara (1 su 15.000/ 25.000 nati vivi) dovuta ad alterazioni a carico del cromosoma 15, la cui diagnosi può essere difficile da stabilire clinicamente. I segni clinici più frequenti sono obesità, ridotto tono muscolare ed anomalie intellettive e comportamentali.

Le basi genetiche risultano molto eterogenee: circa il 70% dei casi è dovuto a una delezione della regione 15q11-q13 del cromosoma paterno, il 28% è dovuto a disomia uniparentale materna mentre meno del 2% dei casi può presentare un errore nel processo di imprinting che causa una non espressione del gene paterno nella regione critica della PWS.

Il test genetico

Il test genetico per la diagnosi di Angelman consiste nello studio del cariotipo sul sangue periferico per il rilevamento di eventuali riarrangiamenti cromosomici abbinato all’ amplificazione del DNA del probando e dei genitori mediante multiplex-QF-PCR (Quantitative Fluorescent Polymerase Chain Reaction) di specifiche STR (sequenze i DNA ripetute altamente polimorfiche) localizzate sul cromosoma 15. Gli amplificati ottenuti sono separati mediante elettroforesi capillare ed analizzati con uno specifico software per la presenza dei marcatori genetici di disomia uni parentale paterna.

Lo screening viene completato con l’analisi della regione critica 15q11.2-q13 per valutare eventuali difetti di metilazione dovuti a disomia uniparentale o a difetti di imprinting e di delezioni e/o duplicazioni mediante MS-MLPA (Multiplex Ligation-Dipendent Probe Amplification).

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico raccolto in due provette da 3mL di sangue intero Vacutainer con EDTA.

Indicazioni all’analisi:

il test è consigliato per bambini con quadro clinico sospetto.

La sindrome di Silver Russell (SRS) è un disordine clinicamente eterogeneo le cui basi genetiche sono in parte note. Sono stati identificati differenti anomalie cromosomiche coinvolgenti la regione del cromosoma 7p12-7p14 e sono anche descritti difetti genetici coinvolgenti regioni cromosomiche di altri cromosomi. Nel 10% dei pazienti è stata osservata presenza di Disomia Uniparentale per il cromosoma 7, in cui entrambi gli omologhi risultano di origine materna.

Il test genetico:

consiste nello studio delle disomie materne del cromosoma 7, attraverso l’analisi da 5 a 10 polimorfismi del DNA con un confronto con i campioni dei genitori del paziente mediante PCR.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3 mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA) per i genitori, e su villi coriali, liquido amniotico, linfociti da sangue fetale o linfociti da sangue periferico per l’analisi su figlio.

Indicazioni all’analisi:

l’indicazione a tale studio è data dal rilevamento di tratti e caratteristiche tipiche osservate in

consulenza clinica.

La malattia di Von Hippel-Lindau (VHL) è una sindrome con predisposizione familiare al cancro, associata a tumori maligni e benigni di natura variabile, per lo più emangioblastomi della retina, del cervelletto e della colonna vertebrale, carcinoma delle cellule renali (CCR) e feocromocitoma. La prevalenza è stimata in 1/53.000 casi e l’incidenza alla nascita in 1/36.000 casi. Colpisce entrambi i sessi. Viene diagnostica in media attorno ai 26 anni, ma la malattia può essere individuata tra l’infanzia e i 70 anni. La malattia di Von Hippel-Lindau è causata da mutazioni del gene VHL (3p25.3), un oncosoppressore. La trasmissione è autosomica dominante a penetranza variabile. La maggior parte dei casi viene diagnostica attraverso l’identificazione di una mutazione germinale di VHL.

Il test genetico:

consiste nell’ analisi mediante MLPA (Multiplex Ligation-Dipendent Probe Amplification) per la ricerca di delezioni o duplicazioni a carico del gene VHL. Nei casi risultati negativi all’MLPA viene eseguita la ricerca di varianti di sequenza a carico degli esoni e delle regioni introniche fiancheggianti del gene VHL mediante amplificazione con PCR (Polymerase Chain Reaction) degli esoni del gene VHL e sequenziamento delle regioni codificanti e delle regioni introniche fiancheggianti, per la ricerca di varianti di sequenza.

L’analisi si effettua:

DNA estratto da linfociti di sangue periferico, 2 provette da 3 mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA.

Indicazione all’analisi:

l’analisi si effettua su soggetti con diagnosi clinica accertata o con presenza di sospetto clinico e per familiarità.

La Sindrome di Usher (USH) è una malattia geneticamente e clinicamente eterogenea, trasmessa con modalità autosomica recessiva, che comprende 12 loci, con 9 geni noti e 3 condizioni cliniche, USH1, USH2, USH3 che associano retinite pigmentosa e sordità, con un’età di esordio variabile. La prevalenza della USH è di 3-4/100.000 nella popolazione europea.

La Sindrome di Usher Tipo I (USH1), presenta sordità profonda alla nascita; talvolta i pazienti presentano un residuo uditivo per le basse frequenze ed hanno problemi di equilibrio. Verso la fine della prima decade di età, manifestano i primi sintomi della retinite pigmentosa. I principali geni coinvolti sono: MYO7A (39%-55%), CDH23 (19%-35%), PCDH15 (11%-19%), USH1C (6%-7%) e USH1G (circa il 7%). La Sindrome di Usher Tipo 2 (USH2), e’ caratterizzata da una perdita uditiva bilaterale da moderata /grave. La perdita di udito è stazionaria nella maggior parte dei casi; molto raramente le persone perdono completamente la capacità uditiva. I principali geni coinvolti sono: USH2A (80%),GRP98 (15%) e DFNB31 (circa il 5%). Nella Sindrome di Usher Tipo 3 (USH3), i pazienti alla nascita possono non manifestare un deficit udivo, ma l’ipoacusia che inizia nei primi anni di vita, è progressiva e intorno ai 30-50 anni può diventare profonda. La degenerazione della retina inizia a manifestarsi dopo l’adolescenza. In alcuni casi sono presenti anche problemi di equilibrio. Attualmente l’unico gene coinvolto e noto è USH3A.

Il test genetico:

il test genetico si effettua mediante PCR (Polymerase Chain Reaction) degli esoni dei geni interessati e sequenziamento delle regioni codificanti e delle regioni introniche fiancheggianti, per la ricerca di varianti di sequenza.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3 mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA).

Indicazioni all’analisi:

si consiglia ai soggetti affetti con diagnosi clinica effettuata tramite esami strumentali indicativi per tale patologia o in presenza di sospetto clinico e per familiarità.

La malattia è dovuta alla mutazione del gene FMR1 del cromosoma X, localizzato in Xq27.3 ed è caratterizzata dall’espansione di una sequenza ripetuta di basi CGG che causa una regolazione negativa dell’espressione del gene. Mentre nelle persone normali queste basi sono ripetute in un numero variabile da 5 a 44 volte, nelle persone malate il numero di ripetizione è maggiore di 200. Questa espansione, definita mutazione completa, provoca la mancata espressione del gene FMR. I maschi portatori di un gene FMR1 con una significativa espansione di CGG (>200) presentano i sintomi della malattia visto che possiedono una sola copia del cromosoma X. Le donne portatrici del gene FMR1 espanso, avendo due copie del cromosoma X, possono presentare alcuni sintomi oppure essere normali. I sintomi della Sindrome dell’ X Fragile sono ritardo mentale di grado moderato o grave, una faces caratteristica con volto allungato e grandi orecchie, grossi testicoli e basso tono muscolare.

Il test genetico:

il test consiste nello studio del gene FMR1 (locus Fraxa) per individuare l’eventuale pre mutazione o mutazione completa e si effettua mediante amplificazione con PCR (Polymerase Chain Reaction) della regione FMR-1 e, solo per i soggetti di sesso maschile, viene utilizzata anche la metodica MS-MLPA.

La visualizzazione dei prodotti amplificati mediante le due metodiche, viene effettuata mediante corsa elettroforetica capillare automatizzata.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3 mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA), da liquido amniotico, villo coriale e sangue fetale.

Indicazioni all’analisi:

l’indagine è prevista per i soggetti che presentano una familiarità per la Sindrome dell’X-Fragile e/o per ritardo mentale, nei bambini con ritardo mentale e del linguaggio, nelle donne che mostrano Premature Ovarian Insufficiency (POI) ed in caso di FXTAS (sindrome del tremore atassia associata all’ X Fragile) che può essere presente sia negli uomini che nelle donne.

La tachicardia ventricolare polimorfica catecolaminergica (CPVT) è una grave malattia aritmogena genetica, caratterizzata da tachicardia ventricolare (TV) indotta dallo stress adrenergico, con una prevalenza in Europa è di 1/10.000.
I geni noti responsabili della CPVT sono due, il primo codifica per il recettore cardiaco della rianodina (RYR2) e causa la CPVT in circa il 55-65% dei casi, il secondo codifica per la calsequestrina cardiaca (CASQ2), mutato in circa il 2% dei casi di CPVT.

Il test genetico:

consiste nella ricerca delle varianti di sequenza a carico dei geni associati alla patologia mediante Next Generation Sequencing e successivo sequenziamento in automatico (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante Next Generation Sequencing. I geni sequenziati ed analizzati sono:

RYR2,

CASQ2.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti (prelievo di sangue periferico in 2 provette Vacutainer da 3 ml con EDTA) per indagine postnatale.

Indicazione all’analisi:

su soggetti con diagnosi clinica accertata, con presenza di sospetto clinico o con familiarità.

Le talassemie sono un gruppo di disturbi ereditari dovuti ad alterazioni nella sintesi dei componenti della emoglobina (HbA), proteina contenuta nei globuli rossi, che trasporta l’ossigeno dai polmoni ai tessuti periferici, e smaltisce l’anidride carbonica raccolta nei tessuti periferici verso il polmone, da dove viene poi eliminata. L’emoglobina dell’adulto è formata da due subunità di tipo alfa e due subunità di tipo beta che si uniscono a formare una tasca dove è localizzato il gruppo eme, sito di legame di ossigeno e anidride carbonica.

Le beta talassemie sono un gruppo eterogeneo di patologie ereditarie accomunate dalla sintesi difettosa o dalla assenza delle catene beta dell’emoglobina; tale alterazione comporta l’associazione delle catene alfa tra loro producendo una emoglobina strutturalmente e funzionalmente alterata che danneggia la membrana dei globuli rossi. Ne consegue una massiva distruzione dei globuli rossi nella milza (emolisi) e Ia precoce distruzione dei precursori eritroidi nel midollo (eritropoiesi inefficace). l gene che codifica per la beta globina è localizzato sul cromosoma 11; la mutazione può essere riportata in omozigosi, cioè su entrambe le copie del gene, e dare Talassemia Major, oppure può essere presente in eterozigosi, quindi su una sola copia del gene, provocare Talassemia Intermedia.

La alfa talassemia è una malattia ereditaria provocata dalla sintesi difettosa o assente della catena alfa dell’ emoglobina generando un accumulo di catene beta nell’adulto con formazione di varianti emoglobiniche patologiche come l’ emoglobina H, (4 catene beta), o emoglobina di Bart nel feto, (4 catene gamma). Esistono 4 geni localizzati sul cromosoma 16 che codificano per le catene alfa dell’emoglobina; gli individui normali hanno 4 copie intatte del gene, i portatori silenti della talassemia alfa hanno una sola copia mutata del gene; il portatore classico possiede due geni alfa globinici alterati con conseguente riduzione del volume dei globuli rossi e della emoglobina in essi contenuta. La mutazione di tutte le copie del gene alfa globinico genera una condizione molto grave nota come idrope fetale spesso letale per il feto durante la gravidanza.

Il test genetico:

Il test consiste nella amplificazione simultanea delle regioni del gene della beta globina e alfa globina dove sono localizzate le mutazioni più frequenti mediante Multiplex PCR (Polymerase Chain Reaction) ed analisi delle mutazioni mediante reverse dot blot. Le mutazioni analizzate per la talassemia beta ed alfa sono rispettivamente 25 e 21.

Su richiesta del medico specialista, lo screening delle suddette mutazioni può essere aumentato con il sequenziamento diretto dei geni coinvolti nell’ alfa nella beta talassemia mediante NGS (Next Generation Sequencing).

Il test si effettua:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3 mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA), da liquido amniotico, villo coriale e sangue fetale

Indicazioni all’analisi:

l’analisi è consigliata per i soggetti con diagnosi clinica accertata, nei casi con sospetto clinico (elettroforesi dell’emoglobina anomala) e per familiarità.

Il termine Trombofilia si riferisce a un gruppo di patologie genetiche caratterizzate dalla tendenza a soffrire di episodi trombotici. Nella maggior parte dei casi si tratta di difetti o alterazioni a carico di uno o più fattori della coagulazione del sangue quali, protrombina, fattore V Leiden, metilentetraidrofolato reduttasi (MTHFR), fattore V H1299R; fattore XIII; beta fibrinogeno (FGB), human platelet alloantigens (HPA); inibitore dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1), angiotensinogeno (AGT); enzima convertitore dell’angiotensina (ACE); apolipoproteina (ApoE); apolipoproteina B (ApoB), cistationina beta sintetasi (CBS) etc.. Tali fattori presentano varianti geniche la cui frequenza nella popolazione è sufficientemente alta da considerarle varianti polimorfiche.

Il test genetico:

consiste nell’ amplificazione del DNA mediante Real-Time PCR (Real Time Polymerase Chain Reaction) e successiva analisi dei prodotti amplificati per la valutazione della presenza dei polimorfismi connessi con l’aumento del rischio trombotico. I polimorfismi analizzati sono:

polimorfismo G1691A del fattore V Leiden,

polimorfismo HR2 del fattore V,

polimorfismo C677T e A1298C dell’ MTHFR,

polimorfismo G20210A della protrombina,

polimorfismo V34L del fattore XIII,

polimorfismo 1a/1b del HPA-1,

polimorfismo -455G/A del FBG,

polimorfismo 4G-5G del PAI-1,

polimorfismo del C112R- R158C dell’ APO E,

polimorfismo R3500Q dell’ APO B,

polimorfismo M235T dell’ AGT,

polimorfismo I/D dell’ ACE,

polimorfismo ins68/del68 del CBS,

polimorfismo A66G del MTRR.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (due provette da 3 mL di sangue intero Vacutainer con EDTA).

Indicazioni all’analisi:

si consiglia lo screening genetico dei fattori della coagulazione per la diagnosi della trombofilia ereditaria ai soggetti con storia familiare positiva, alle donne con poliabortività per acclarata correlazione tra trombofilia ereditaria ed aborti in utero e per i soggetti che hanno manifestato precedenti trombosi. Inoltre è consigliata per le donne che assumono progestinici.

Le vitreoretinopatie ereditarie sono malattie degenerative del vitreo e della retina. Esse costituiscono

un gruppo di malattie piuttosto rare, ma di notevole rilevanza clinica. Tra queste patologie le più diffuse sono la vitreo retinopatia essudativa familiare, la degenerazione a fiocchi di neve, la Sindrome di

Stickler, la Sindrome di Wagner, la Sindrome di Goldmann-Favre, e la vitreoretinocoroidopatia autosomica dominante.

Il test genetico:

il test consiste nella ricerca delle varianti di sequenza a carico dei geni associati alla patologia mediante NGS (Next Generation Sequencing) e sequenziamento in automatico (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante NGS.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3 mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA).

Indicazioni all’ analisi:

l’analisi su soggetti con diagnosi clinica accertata e in casi di presenza di sospetto clinico e per familiarità.

Le vitreoretinopatie ereditarie sono malattie degenerative del vitreo e della retina. Esse costituiscono un gruppo di malattie piuttosto rare, ma di notevole rilevanza clinica. Tra queste patologie le più diffuse sono la vitreo retinopatia essudativa familiare, la degenerazione a fiocchi di neve, la Sindrome di Stickler, la Sindrome di Wagner, la Sindrome di Goldmann-Favre, e la vitreoretinocoroidopatia autosomica dominante.

Il test genetico:

il test consiste nella ricerca delle varianti di sequenza a carico dei geni associati alla patologia mediante NGS (Next Generation Sequencing) e sequenziamento in automatico (Sanger) per la conferma delle varianti di sequenza evidenziate mediante NGS.

Il test si esegue:

su DNA estratto da linfociti di sangue periferico (2 provette da 3 mL di sangue intero in provetta Vacutainer con EDTA).

Indicazioni all’ analisi:

l’analisi su soggetti con diagnosi clinica accertata e in casi di presenza di sospetto clinico e per familiarità.

DIAGNOSI MOLECOLARE IN ONCOLOGIA

La diagnostica molecolare in oncologia ha avuto il suo maggiore impatto nella diagnosi e nel trattamento del cancro al seno, ma anche nella diagnosi di tumore del colon-retto, del cancro del polmone e della prostata al fine di ridurne la mortalità. Nella lotta contro il cancro, la diagnostica molecolare è uno strumento di rilevamento precoce e di gestione della malattia, la chiave per una gestione più efficace del cancro e il fondamento della medicina personalizzata.

Mediante l’impiego della tecnologia NEXT GENERATION SEQUENCING (NGS). E’ possibile inoltre verificare la predisposizione a diversi tumori (BRCA1- BRCA2 per la predisposizione al carcinoma mammario e ovarico).

Il test genetico BRCA1 e BRCA2 (Breast Cancer 1 e 2) è un test di laboratorio in grado di identificare alterazioni ereditarie nei geni BRCA1 e BRCA2 con un semplice prelievo ematico.

Questi geni regolano, attraverso un meccanismo non ancora del tutto noto, la corretta crescita e proliferazione delle cellule della mammella e dell’ovaio.

A seguito di approfonditi studi effettuati su famiglie a rischio, è stato accertato che le donne che possiedono mutazioni ereditarie a livello dei geni BRCA1 e BRCA2 rischiano di sviluppare un tumore alla mammella nell’87% dei casi, contro una probabilità del 10% dei non portatori di mutazioni.

Recenti studi hanno inoltre dimostrato che più della metà delle donne portatrici di mutazioni a livello dei geni BRCA sviluppa un tumore al seno prima dei 50 anni.

Il rischio di sviluppare un tumore ovarico in caso di ricorrenza di mutazioni in uno dei due geni in questione è compreso tra il 44-60%, rispetto all’1% di probabilità dei non portatori.

Inoltre, il Centro Ames effettua un ricco portafoglio di test che puntano alla rilevazione di mutazioni genetiche e di misurare l’espressione genica di tessuti tumorali fissati in formalina e inclusi in paraffina (FFPE).

I saggi, con una sensibilità eccezionale (1%) e l’accuratezza (99%), si basano su una PCR real time denominata “ADx-ARMS” per rilevare le mutazioni somatiche più comuni di diversi geni come EGFR, KRAS, BRAF, PIK3CA, EML4-ALK, ROS1.

In particolar modo il kit per:

l’individuazione delle mutazioni somatiche più informative del gene del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR). La presenza di mutazioni di EGFR sono ricercate in pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule metastatico per predire la sensibilità a Iressa. Infatti, in Cina queste mutazioni sono selezionati in pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), che hanno più probabilità di rispondere a Iressa (Gefitinib) o Tarceva (Erlotinib).

La presenza di mutazioni del gene KRAS in pazienti con carcinoma colorettale è rilevante per la resistenza a farmaci mirati come gli inibitori della tirosin-chinasi. I pazienti affetti senza mutazioni del gene KRAS sono molto più propensi a beneficiare del Erbitux (Cetuximab) o Vectibix (Panitumumab), rispetto ai pazienti con un gene KRAS mutato. L’ Organizzazione europea “Drug Administration “e US FDA ha raccomandato l’impiego del test KRAS per rilevare eventuali mutazioni genetiche prima l’utilizzo mirato del farmaco Cetuximab e Vectibix nel trattamento del cancro colorettale.

NRAS è un membro della famiglia RAS di piccole GTPasi e svolge un ruolo centrale nella vie di segnalazione MAPK.

NRAS è stato implicato nella patogenesi di diversi tumori.

Mutazioni ANR sono particolarmente comuni nel melanoma, nel carcinoma epatocellulare, nella leucemia mieloide e nel carcinoma della tiroide. In totale, si verificano mutazioni attivanti nei geni ANR nel 13 ~ 25% dei melanomi cutanei, nel 1 ~ 6% di cancro del colon-retto e nel 1% di cancro al polmone,principalmente negli esoni 2, 3 o 4.

La presenza di mutazioni del gene NRAS è rilevante per la resistenza ai farmaci nel carcinoma a piccole cellule del polmone trattati con inibitori della tirosin-chinasi.

BRAF è una serin/ treonin chinasi che svolge un ruolo all’interno del pathway di Ras-Raf-MEK-MAPK. Questo percorso, sotto il controllo dei fattori di crescita e ormoni, normalmente regola la proliferazione e sopravvivenza cellulare. Le mutazioni nel gene BRAF sono state associate con lo sviluppo del cancro. Mutazioni di BRAF si verificano in circa il 50% dei melanomi, in ~ 40% dei tumori tiroidei papillari,in ~ 30% dei tumori ovarici, in ~ 10% dei tumori del colon-retto e in ~ 10% dei tumori della prostata. I farmaci che bloccano la attivazione oncogenica di BRAF hanno avuto risultati impressionanti negli studi clinici e la ricerca di nuovi farmaci mirati a BRAF è un’area attiva di ricerca e sviluppo.

L’oncogene di fusione EML4-ALK rappresenta uno dei più nuovi bersagli molecolari nel carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC). Questa fusione comportai una piccola inversione all’interno cromosoma 2p. Questa inversione è responsabile dell’espressione di una tirosina chinasi chimerica avente la metà N-terminale della proteina 4 (EML4) del microtubulo di echinodermi fusa al dominio chinasico intracellulare del linfoma anaplastico (ALK). La proteina EML4-ALK possiede una potente attività oncogenica sia in vitro che in vivo. Questa attività può essere bloccata da piccole molecole inibitorie, sostenendo il ruolo di EML4-ALK come un fattore chiave di tumorigenesi polmone.

Esistono mutazioni del gene Phosphoinositide-3-chinasi subunità alfa catalitica (PIK3CA) in diversi tipi di tumori, tra cui il cancro al seno ed il cancro del polmone non a piccole cellule. La mutazione di PIK3CA può portare all’attivazione persistente del pathway a valle associate con lo sviluppo e la diffusione del cancro.

ROS1 è un tirosin-chinasi recettoriale della famiglia dei recettore dell’insulina. Riarrangiamenti cromosomici che coinvolgono il gene del recettore tirosina chinasi ROS1 si verificano in un sottogruppo di carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC). I partner di fusione di ROS1 includono SLC34A2, CD74, SDC4, EZR ecc Queste fusioni portano all’attività chinasi costitutiva ed l’attivazione di percorsi a valle, come JAK / STAT, PI3K / AKT, RAS / MAPK, ecc, che porta alla carcinogenesi.

La famiglia di JAK tirosin-chinasi non-recettore, comprende JAK1, JAK2, JAK3, e TYK2. I fattori di crescita e le citochine sono in grado di regolare la trascrizione genica attraverso l’attivazione JAK-dipendente del trasduttore di segnale e attivatore della trascrizione (STAT). La trasduzione JAK-STAT del segnale regola la proliferazione cellulare, il differenziamento, l’apoptosi e la regolazione immunitaria. L’attivazione di JAK2 da mutazione del ammioacido in posizione 617 (V617F) è associata a disturbi mieloproliferativi, compresa la policitemia vera (mutazioni trovate nel 90% dei casi), la trombocitemia essenziale (50%) e l’mielofibrosi idiopatica (50%). Mutazione JAK2 è il principale indicatore in diagnostica di MPD. La mutazione JAK2 V617F è stata trovata in tre dei 24 campioni di cancro del polmone mediante sequenziamento dell’esoma. Se questa scoperta viene convalidata rappresenterà una nuova mutazione importante causativa del cancro del polmone, con l’ulteriore vantaggio che la chinasi mutante è inibita da farmaci ben studiati, come gefitinib.

Il AmoyDx BCR-ABL Mutation Detection Kit è un test sensibile e selettivo per la rilevazione della mutazione T315I nel gene BCR-ABL. La maggior parte (95%) dei pazienti con leucemia mieloide cronica (CML) ha un riarrangiamento cromosomico che produce l’oncogene di fusione BCR-ABL1. I pazienti con LMC in genere rispondono molto bene al trattamento con l’inibitore della tirosin-chinasi imatinib mesilato, conosciuta come Gleevec negli Stati Uniti e Glivec in Europa. Tuttavia, le cellule LMC in pazienti trattati con TKI possono sviluppare resistenza al farmaco a causa della comparsa della mutazione puntiforme T315I nel dominio della chinasi BCR-ABL. Nuovi inibitori come dasatinib e nilotinib sono significativamente più potenti di imatinib e possono superare la resistenza.

Timidilato sintetasi (TYMS) catalizza la metilazione di deoxyuridylate a deossitimidilato, che è un metabolita chiave per la replicazione e riparazione del DNA. I malati di cancro con un basso livello di espressione genica TYMS possono essere più sensibili al trattamento con la chemioterapia con fluorurati. Questo kit permette la valutazione quantitativa dell’espressione genica TYMS nel tessuto del cancro.

Il test ERCC1 fornisce informazioni sulla potenziale sensibilità del cancro di un paziente alle terapie a base di platino.

La combinazione di carboplatino e paclitaxel è il regime più comunemente usato per il trattamento del tumore non a piccole cellule del polmone (NSCLC). Questi farmaci inibiscono la crescita del cancro danneggiando il DNA. L’espressione del gene di riparazione del DNA di escissione riparazione cross-complementazione gruppo 1 (ERCC1) è segnalata per essere correlata con resistenza ai farmaci a base di platino. Le cellule tumorali con bassa livello di enzima ERCC1 possono essere più sensibili ai farmaci a base di platino dal momento che sono meno in grado di riparare il DNA danneggiato.

KIT è un recettore tirosina chinasi (RTK) che svolge normalmente un ruolo critico nella emopoiesi. La mutazione del gene KIT conduce alla crescita aberrante della cellula ospitante la proteina mutante. Mutazioni di KIT sono state associate a diverse neoplasie, tra cui la leucemia mieloide acuta (AML), tumori stromali gastrointestinali (GIST) e carcinomi testicolari.

Gene RRM1 è l’abbreviazione di ribonucleotide reduttasi M1. La gemcitabina è l’analogo DCTP ed è l’inibitore della ribonucleotide reduttasi. RRM1 è uno degli obiettivi della gemcitabina. È stato dimostrato che. un alto livello di espressione di RRM1 è collegato con la resistenza alla gemcitabina. Inoltre, i pazienti oncologici in uno stadio avanzato con un alto livello di espressione di RRM1 hanno prognosi infausta. Pertanto, la valutazione quantitativa dell’espressione genica RRM1 potrebbe determinare l’idoneità di gemcitabina a pazienti affetti da cancro NSCL e stimarne la prognosi.

INFETTIVOLOGIA MOLECOLARE

Mediante le moderne tecniche di biologia molecolare (PCR ed RT-PCR) è possibile effettuare presso il Laboratorio di Genetica Medica del Centro AMES una ricerca rapida del genoma virale, batterico e/o micogeno, la sua titolazione e genotipizzazione, consentendo una diagnosi certa dell’ infezione e una più specifica terapia.

Con i test di infettivologia che eseguiti presso il Centro Polidiagnostico Strumentale Ames si ricerca:

La Candida appartiene alla famiglia dei lieviti e fa parte della normale flora batterica della pelle, della bocca, del tratto gastrointestinale e della vagina, ma può causare infezioni opportunistiche, candidosi, in soggetti affetti da condizioni patologiche o ridotte difese immunitarie. Esistono numerose specie di Candida; la Candida Albicans è responsabile del 56% dei casi di candidosi, la Candida Glabrata responsabile del 14% delle infezioni; minore incidenza hanno le infezioni da Candida Krusei eCandida non-Albicans.

Presso il Centro Polidiagnostico Strumentale Ames si effettua la ricerca qualitativa delle specie Candida Albicans, Candida Krusei e Candida Glabrata.

Tipo di campione: tampone vaginale,cervicale, uretrale eseguito ed identificato dal medico richiedente e liquido seminale.

Metodica: amplificazione di DNA mediante Real Time PCRReal Time Polymerase Chain Reaction) ed interpretazione dei risultati mediante l’ apposito software.

La Chlamydia Trachomatis (Clamidia) è un batterio intracellulare che rappresenta il principale agente eziologico di Malattie Sessualmente Trasmesse come uretrite non gonococcica (NGU) e post-gonococcica (blenorragia da inclusioni), epididimite, vaginite, sindrome uretrale acuta e, nella donna, malattia pelvica infiammatoria che spesso sfocia nella sterilità di coppia. Conseguenza della trasmissione verticale dell’infezione da C.trachomatis sono le infezioni del neonato (congiuntivite, polmonite, otite).

Presso il Centro Polidiagnostico Strumentale Ames si effettua la ricerca qualitativa di Chlamydia Trachomatis.

Tipo di campione: : tampone vaginale,cervicale, uretrale eseguito ed identificato dal medico richiedente e liquido seminale.

Metodica: amplificazione di DNA mediante Real Time PCR( Real Time Polymerase Chain Reaction) ed interpretazione dei risultati mediante l’apposito software.

Il citomegalovirus (CMV) appartiene alla famiglia degli Herpesvirus che comprende i più noti herpes labiale e genitale e il virus della varicella. I soggetti che hanno già avuto l’infezione non sono immuni completamente, quindi possono contrarre una reinfezione. Infatti, l’infezione da CMV si distingue in primaria o ricorrente, che a sua volta è distinta in riattivazione (da ceppo virale già presente nel soggetto) e reinfezione (da ceppo virale diverso da quello che ha già infettato l’organismo).
Le vie di contagio principali sono la saliva, il sangue, le urine e i rapporti sessuali. In casi molto rari il virus si trasmette in modo indiretto, attraverso l’utilizzo di oggetti comuni, come un bicchiere, uno spazzolino da denti o, importante per i bambini, un giocattolo. L’infezione generalmente causa solo una leggera febbre o senso di stanchezza, che spesso vengono ignorati o attribuiti ad altre cause, come influenza o stress.

Tipo di campione: sangue periferico EDTA.

Metodica: amplificazione di DNA mediante Real Time PCRReal Time Polymerase Chain Reaction) ed analisi dei prodotti amplificati mediante valutazione della curva di melting.

La Gardnerella vaginalis è un piccolo batterio comunemente riscontro nella flora batterica della vagina. Tale microrganismo si stanzia nella flora microbica normale della vagina in circa il 30% delle donne sane. Di queste circa la metà risulta convivere in maniera asintomatica con la presenza di questo batterio. G. vaginalis è un potenziale patogeno che può causare gravi danni alla mucosa vaginale nel caso in cui venga stravolto il normale ambiente di acidità (fattore di sicurezza e di controllo verso potenziali patogeni) sostenuto dai lattobacilli, fisiologicamente presenti come flora normale. In tal caso, questi stessi batteri, che appunto mantengono il pH vaginale su un valore da 3,8 a 4,5, sono soppiantati da una rapida crescita di G. vaginalis. Presso ilCentro Polidiagnostico Strumentale Ames si effettua la ricerca qualitativa di Gardnerella.

Tipo di campione: tampone vaginale,cervicale, uretrale eseguito ed identificato dal medico richiedente e liquido seminale.

Metodica: amplificazione di DNA mediante Real Time PCRReal Time Polymerase Chain Reaction) ed interpretazione dei risultati mediante apposito software.

Il virus dell’epatite B (HBV) è un virus a DNA appartenente alla famiglia Hepadnaviridae che è endemico in tutto il mondo e rappresenta la principale causa delle patologie epatiche. L’HBV si trasmette mediante contatto diretto con il sangue o con altri fluidi corporei. Tra le vie di trasmissione più comuni vanno annoverate le seguenti: trasfusioni ematiche, punture di ago, contatto diretto con ferite aperte, rapporti sessuali e passaggio dalla madre al neonato al momento della nascita. L’infezione da HBV può determinare tipicamente epatite itterica, epatite anitterica subclinica, epatite fulminante o epatite cronica persistente.

Presso il Centro Polidiagnostico Strumentale Ames si effettua la ricerca qualitativa e quantitativa di HBV.

Tipo di campione: sangue periferico in EDTA.

Metodica: amplificazione del DNA virale mediante Real Time PCRReal Time Polymerase Chain Reaction.

L’ HCV (il virus dell’epatite C) colpisce in primo luogo il fegato generando epatite virale. L’infezione è spesso asintomatica, ma la sua cronicizzazione può condurre alla cicatrizzazione del fegato e, infine, alla cirrosi, che risulta generalmente evidente dopo molti anni. In alcuni casi, la cirrosi epatica potrà portare a sviluppare insufficienza epaticacancro del fegatovarici esofagee e gastriche. Il contagio dell’infezione da HCV avviene principalmente per via parenterale, cioè attraverso il sangue, e molto meno frequentemente per via sessuale. L’infezione dell’ HCV si trasmette preferenzialmente per via orizzontale, da individuo a individuo, e in minor misura, con una frequenza del 3-5%, per via verticale-perinatale, cioè da madre a figlio.

Presso il Centro Polidiagnostico Strumentale Ames si effettua la ricerca qualitativa, quantitativa e la genotipizzazione dell’ HCV.

Tipo di campione: sangue periferico in EDTA.

Metodica: ricerca diretta di RNA virale mediante Real Time RT-PCR (Real Time Polymerase Chain Reaction) della regione 5’-UTR del genoma del virus correlato all’Epatite di tipo C.

Il Virus Papilloma Umano (HPV) è un virus a DNA appartenente al gruppo dei Papillomavirus. Le infezioni da HPV sono estremamente diffuse e possono causare anche malattie della pelle e delle mucose. Solitamente l’infezione provocata da questo virus non causa nessuna alterazione e si risolve da sola. In una minoranza di casi invece provoca delle lesioni a livello del collo dell’utero. La maggior parte di esse guarisce spontaneamente ma alcune, se non curate, progrediscono lentamente verso forme tumorali. Il virus si contrae generalmente attraverso rapporti sessuali, ma non si possono escludere vie indirette dell’infezione come bocca e unghie.

Esistono molteplici genotipi HPV classificati in base al rischio oncogeno.

Presso il Centro Polidiagnostico Strumentale Ames si effettua la ricerca e la genotipizzazione di 28 genotipi HPV:

16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 68, 73, 82 (HPV alto rischio oncogeno),

26, 53, 66 (HPV a probabile rischio oncogeno),

11, 40, 43, 44, 54, 70 (HPV a basso rischio oncogeno),

42, 61, 69, ( HPV con ruolo da definire).

Tipo di campione: tampone vaginale,cervicale, uretrale eseguito ed identificato dal medico richiedente e liquido seminale.

Metodica: ricerca diretta mediante Real Time PCR (Real Time Polymerase Chain Reaction).

L’Herpes Simplex Virus (HSV), virus a DNA appartenente alla famiglia Herpesviridae, è l’agente eziologico responsabile della dermatosi vescicolare. Esistono due differenti tipi virali: Tipo I, responsabile dell’Herpeslabialis, Tipo 2, responsabile dell’Herpes genitalisL’infezione da HSV si può riflettere anche nella trasmissione neonatale, determinando malformazioni fetali.

Presso il Centro Polidiagnostico strumentale Ames si effettua la ricerca qualitativa del Virus Herpes Simplex 1 e 2.

Tipo di campione: sangue periferico in EDTA.

Metodica: amplificazione del DNA virale mediante Real Time PCR (Real Time Polymerase Chain Reaction) ed interpretazione dei risultati mediante apposito software.

Mycoplasma genitalium è un batterio parassita che colonizza il tessuto epiteliale ciliato urogenitale e respiratorio. I micoplasmi presenti a livello genitale, non sempre hanno un ruolo patogeno. Sulle mucose genitali sane, è possibile riscontrare come abituale ospite della flora microbica (flora micoplasmica) il Mycoplasma hominis e meno frequentemente altri micoplasmi. Il Mycoplasma hominis è un micoplasma presente sulle mucose urogenitali di quasi tutti gli individui sessualmente attivi, come normale flora microbica. Anche in gravidanza, il micoplasma fa parte della normale flora microbica genitale e viene trasmesso al neonato al momento del parto, come flora microbica. In determinate condizioni, alcuni micoplasmi possono essere responsabili di uretrite e malattia infiammatoria pelvicaNella donna, Mycoplasma genitalium si può talora associare a vaginosi batterica, mentre nell’uomo si può associare prevalentemente a uretriti non gonococciche. Anche il Mycoplasma hominis è un ospite abituale dell’apparato genitale umano e si comporta solitamente come commensale e non come patogeno, anche se in determinate condizioni, può causare uretrite non gonococcica o infiammazione pelvica.

Presso il Centro Poidiagnostico Strumentale Ames si effettua la ricerca qualitativa dei batteri Mycoplasma Genitalium e Mycoplasma Hominis.

Tipo di campione: tampone vaginale,cervicale, uretrale eseguito ed identificato dal medico richiedente e liquido seminale.

Metodica: amplificazione di DNA mediante Real Time PCR( Real Time Polymerase Chain Reaction) ed interpretazione dei risultati mediante apposito software.

Il Toxoplasma Gondii è un parassita che vive nei gatti e negli animali a sangue caldo che può causare nell’uomo una infezione nota come toxoplasmosi. L’infezione è latente e normalmente non presenta sintomi, ma spesso dà sintomi simili a quelli dell’influenza o della mononucleosi nelle sue prime fasi acute. Se l’infezione da Toxoplasma Gondii accade per la prima volta durante la gravidanza, il parassita può attraversare la placenta portando possibilmente all’idrocefalo, un accumulo di liquido cefalo rachidiano intercranico, dovuto a flogosi acuta, e alla corioretinite, con la possibilità di aborto spontaneo o di morte intrauterina o ritardo mentale. Presso il Centro Polidiagnostico Strumentale Ames si effettua la ricerca qualitativa del parassita Toxoplasma Gondii.

Tipo di campione: sangue periferico in EDTA.

Metodica: amplificazione di DNA mediante Real Time PCR( Real Time Polymerase Chain Reaction) ed analisi dei prodotti amplificati mediante valutazione della curva di melting.

 

Trichomonas Vaginalis è un parassita responsabile dell’omonima malattia trichomoniasi vaginale, un’infiammazione vaginale. IlTrichomonas Vaginalis si trasmette per via sessuale ed è molto più comune nelle donne che negli uomini che sono portatori asintomatici. Nei casi di trichomoniasi si verifica irritazione ed

infiammazione dell’epitelio della vagina o dell’uretra, più raramente della prostata.

Presso il Centro Polidiagnostico Strumentale Ames si effettua la ricerca qualitativa del parassita Trichomona Vaginalis.

Tipo di campione: tampone vaginale,cervicale, uretrale eseguito ed identificato dal medico richiedente e liquido seminale.

Metodica: amplificazione di DNA mediante Real Time PCR( Real Time Polymerase Chain Reaction) ed interpretazione dei risultati mediante apposito software.

Neisseria gonorrhoeae è un batterio gonococco trasmesso sessualmente che causa nell’uomo, dopo un breve periodo di incubazione di 1 -7 giorni , un’uretrite acuta caratterizzata da un’ abbondante secrezione muco -purulenta. Nelle donne l’infezione si manifesta a livello cervicale con sintomi meno evidenti.

Presso il Centro Polidiagnostico Strumentale Ames si effettua la ricerca qualitativa del batterio Neisseria Gonorrhoeae.

Tipo di campione: tampone vaginale,cervicale, uretrale eseguito ed identificato dal medico richiedente e liquido seminale.

Metodica: amplificazione di DNA mediante Real Time PCR( Real Time Polymerase Chain Reaction) ed analisi dei prodotti amplificati mediante valutazione della curva di melting.

Il virus Rubella, virus ad RNA appartenente alla famiglia dei Togavirus, è l’agente eziologico della Rosolia, una malattia esantematica che colpisce soprattutto in età pediatrica.

La viremia compare dopo circa sei giorni dal contagio per scomparire prima che si palesi l’esantema, il virus infatti viene eliminato attraverso il naso-faringe fino a 14 giorni dalla comparsa dell’esantema.

Presso il Centro Polidiagnostico Strumentale Ames si effettua la ricerca qualitativa del Virus Rubella.

Tipo di campione: sangue periferico in EDTA.

Metodica: ricerca diretta di RNA virale mediante Real Time RT-PCR (Real Time Polymerase Chain Reaction).

ed analisi dei prodotti amplificati mediante valutazione della curva di melting.

Pseudomonas aeruginosa è un batterio opportunista molto virulento ed ubiquitario; è presente infatti nel suolo, nell’acqua e negli ambienti ospedalieri. Pseudomonas Aeruginosa causa infezioni polmonari, delle vie urinarie, della pelle e dell’ orecchio ed endocarditi.

Presso il Centro Polidiagnostico Strumentale Ames si effettua la ricerca qualitativa di Pseudomonas Aeruginosa.

Tipo di campione: tampone vaginale,cervicale, uretrale eseguito ed identificato dal medico richiedente e liquido seminale.

Metodica: amplificazione di DNA mediante Real Time PCR( Real Time Polymerase Chain Reaction) ed interpretazione dei risultati mediante apposito software.

Ureaplasma è un batterio appartenente alla famiglia delle Mycoplasmataceae che colonizza le mucose dell’ apparto genitale. In questa sede l’ Ureaplasma prolifera e metabolizza l’urea in ammoniaca, da cui il suo nome. Nell’ uomo la proliferazione incontrollata di Ureaplasma provoca infiammazione dell’ uretra, uretrite non gonococcica. Nella donna, un’incontrollata crescita di ureoplasma è causa dello sviluppo di vaginosi battericamalattia infiammatoria pelvica e sindrome uretrale.

L’ureaplasma può essere trasmesso sia attraverso rapporti sessuali vaginali, anali o orali che per via materno-fetale (durante la gravidanza o al momento del parto).

Presso il Centro Polidiagnostico Strumentale Ames si effettua la ricerca qualitativa di Ureaplasma Parvum e di Ureaplasma Urealyticum.

Tipo di campione: tampone vaginale,cervicale, uretrale eseguito ed identificato dal medico richiedente e liquido seminale.

Metodica: amplificazione di DNA mediante Real Time PCR( Real Time Polymerase Chain Reaction) ed interpretazione dei risultati mediante apposito software.

Il Virus Varicella Zoster (VZV o Herpesvirus Umano 3) è un virus a DNA appartenente alla sottofamiglia degli Alphaherpesvirinae responsabile della Varicella, malattia esantematica altamente infettiva. Il virus viene rilasciato nelle secrezioni nasali e faringee nonché nelle vescicole cutanee, per cui il contagio può avvenire mediante le goccioline di saliva disperse nell’aria con tosse e starnuti.

Tipo di campione: sangue periferico in EDTA

Metodica: amplificazione del virale DNA mediante Real Time PCR( Real Time Polymerase Chain Reaction) ed interpretazione dei risultati mediante apposito software.